Articoli

Amnistia per Sakineh Ashtiani

Amnistia per Sakineh Ashtiani

Per la Vita di Sakineh Mohammadi Ashtiani © Jimmy Baikovicius

 

“Sakineh Ashtiani è stata amnistiata e rimessa in liberta” – afferma l’avvocato italiano Bruno Malattia, che segue la vicenda da anni patrocinando le ragioni di Sakineh al Parlamento europeo assieme al Comitato internazionale contro la pena di morte e la lapidazione. Bruno Malattia sostiene inoltre che “il provvedimento di clemenza è stato adottato ieri in coincidenza con l’anno nuovo secondo il calendario iraniano. L’annuncio è stato dato da Mahamad Javad Larijiani, Segretario Generale del Consiglio Superiore iraniano per i diritti umani, e diffuso dalla stampa governativa del paese”.

La vicenda di Sakineh Ashtiani cominciò nel 2006 con il suo arresto per adulterio. Venne imprigionata nel carcere di Tabriz e condannata a 99 frustate, successivamente Sakineh fu nuovamente processata con l’accusa di mantenere una relazione con il killer del marito e per esser stata complice nell’omicidio. In una sentenza del 2007 la Corte Suprema la condannò alla lapidazione, ma in seguito ad un ricorso l’esecuzione fu posticipata.

L’opinione pubblica mondiale ebbe modo di interessarsi alla causa di Sakineh all’inizio della primavera 2010, quando una mobilitazione internazionale costrinse le autorità iraniane, dopo il susseguirsi di conferme e smentite, a sospendere la sentenza. Da allora sulla vicenda è calato il silenzio, fino all’attesissimo annuncio dell’amnistia e della liberazione di Sakineh diffuso dalla stampa iraniana in coincidenza con l’anno nuovo secondo il calendario iraniano.

Fonti:

http://www.adnkronos.com

Flaviano Tarducci
Pubblicato su Segnali di fumo – il magazine sui Diritti Umani www.sdfamnesty.org

Diritti Umani che aiutano Dittature

Diritti Umani che aiutano Dittature

Eleanor Roosevelt con la versione inglese della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo.

Perché i diritti umani vengono usati come alibi dai dittatori? Il 26 febbraio il Foreign Policy Magazine ha pubblicato un articolo cercando di dare una spiegazione a questa domanda.

Farida Shaheed, esperta delle Nazioni Unite in materia di diritti culturali, ha lanciato una nuova campagna per riportare l’attenzione della comunità internazionale la situazione dell’arte in materia di diritti dell’uomo. Utilizzando una gigantografia del campione statunitense di basket Kobe Bryant su un campo da basket cinese con la scritta “Attenzione. Kobe Bryant potrebbe violare i vostri diritti umani”.

Farida Shaheed ha espresso l’interesse delle Nazioni Unite di portare avanti un progetto con l’obiettivo di verificare quanto pubblicità e marketing influenzano la cultura delle persone a cui si rivolgono e il loro life style. Un’altra iniziativa di Shaheed va contro il “folklorizzare” i diritti culturali delle minoranze. In Vietnam esistono delle comunità che suonano uno strumento tradizionale a percussione chiamato cong. Questo strumento viene oggi suonato “su richiesta” per i turisti e, secondo le Nazioni Unite, questo svilisce di fatto il valore culturale e simbolico.

In realtà il Vietnam ha un governo non democratico che ignora completamente il diritto alla libertà regligiosa, imprigionando quotidianamente monaci e artisti per le loro idee e opinioni. Il vietnam, secondo Robert Abbott ricercatore sui diritti umani in Vietnam per Amnesty International, sta diventando una della più grandi prigioni per difensori di diritti umani del sud-est asiatico.

Pedro Pizano, autore dell’articolo sul Forign Policy Magazine in questione, spiega che “oggi abbiamo un surplus di diritti umani – e sono tutti considerati di uguale importanza. I diritti umani non vanno da nessuna parte. Hanno perso il loro valore.”. Pizano spiega che quando nel 1948 venne firmata la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo conteneva 30 clausole. 12 di queste clausole furono sin dall’inizio considerate controverse dagli stati firmatari, per questo si trovò una soluzione politica, un compromesso tra gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica, la creazione di due diversi trattati: il Patto internazionale sui diritti civili e politici, ed il Patto internazionale sui diritti economici e culturali. Ad oggi, gli Stati Unini non hanno ancora rattificato il trattato sui diritti economici e culturali.

Le consequenze di questi trattati sono che, al 2013 erano considerati 673 i diritti umani, rivolti ai diritti individuali, collettivi ed ambientali. La proliferazione dei diritti umani sono uno strumento utilizzato dagli stati non liberali per fare pressione politica. Per esempio, alcuni guppi di attivisti per i diritti umani hanno fatto richiesta di maggior riconoscimento legislativo per i diritti delle donne, delle minoranze indigene, delle persone LGBT, degli anziano e dei disabili. Gruppi per la difesa dei diritti delle donne in Arabia Saudita hanno lottato per ottenere il “diritto di guidare”. Certamente, questi gruppi devono essere difesi e le loro battaglie rispettate, ma non c’è bisogno di creare nuovi trattati o creare nuovi diritti. Gli strumenti tradizionali per la difesa dei diritti umani sono sufficienti. La dichiarazione universale dei diritti dell’uomo illustra che nessuno può essere discriminato per la sua “razza, colore, sesso, lingua, religione, opinioni politiche, origini nazionali o sociali, proprietà, nascita o altri status”. Non è necessario creare diritti speciali se sei bisessuale, anziano, o una donna disabile che vive in Arabia Saudita, tu hai diritti perché sei un essere umano.

La proliferazione dei dirtti umani permette ai paesi autoritari di ottenere un alibi. Un paese come il Vietnam potrebbe orgogliosamente mostrare al mondo intero di rispettare i diritti umani e culturali delle minoranze poiché permette di suonare ad alcune comunità il loro strumento tradizionale, mentre dall’altra parte non rispetta i diritti umani più fondamentali. Invece l’Arabia Saudita potrebbe sbandierare la concessione della libertà di guidare anche alle donne come un grande passo avanti nel rispetto dei diritti umani, quando in realtà l’Arabia Saudita continua a violare diritti umani basilari.

Quando tutto può essere definito come un diritto umano, il prezzo per la violazione dei diritti è a buon mercato“, spiega Pedro Pizano. I Paesi non democratici si presentano come difensori dei diritti umani per ottenere legittimità politica. La proliferazione dei diritti umani è abusata dalle dittature, diminuendo la chiarezza morale che i diritti umani una volta godevano.

Fonti:

Foreign Policy

United Nations Treaty Collection

Flaviano Tarducci
Pubblicato su Segnali di fumo – il magazine sui Diritti Umani www.sdfamnesty.org

Migrador Museum

Il Migrador Museum, primo museo virtuale sull’immigrazione in Italia raccoglie le storie di tanti uomini e donne che hanno scelto l’Italia come Paese di destinazione. Si tratta di un esperimento di comunicazione che parla della vita degli immigrati.

Rudra, ragazzo indiano di Milano, Roland, ungherese fondatore, a Roma, di una società di corrieri in bicicletta, Maryan, figlia di un diplomatico della Somalia fuggita negli anni ’70.

Il progetto parte sul web, ma l’obiettivo è di fondare un museo reale. Martino Pillitteri, mente del Migrador Museum dice che è da 18 anni che vorrebbe realizzare un museo sull’immigrazione in Italia, da quando visitò il museo di Ellis Island a New York.

Migrador Museum

Emigranti europei sbarcano a Ellis Island, New York, nel 1902.

Il materiale raccolto nel sito (www.migradormuseum.it) non è fatto solo di parole. Una galleria fotografica illustra i momenti rilevanti della vita dei migranti, ed è anche chiesto di identificare un oggetto che per loro ha un significato particolare perché portato dal Paese d’origine.

Nel Migrador Museum non si trattano tematiche politiche o ideologie. Lo scopo del museo è di poter mostrare le storie di successo di tutti i migranti che si sono messi in gioco ed hano vinto, per essere fonte di ispirazione e per abbattere gli stereotipi di chi è diffidente e vede l’immigrazione come una influenza negativa sulla società ed economia.

Fonti:
www.romasette.it
www.migradormuseum.it

Flaviano Tarducci
Pubblicato su Segnali di fumo – il magazine sui Diritti Umani www.sdfamnesty.org

Aumenta violenza contro donne aborigene in Canada

Aumenta violenza contro donne aborigene in Canada e il governo come risposta taglia il finanziamento per il database dell’Associazione delle donne aborigene canadesi.

Aumenta violenza contro donne aborigene in Canada

Segnaletica stradale a Mistissini – Canada – che indica lo stop e gli indirizzi in lingua Cree, inglese e francese. ©P199

Canada – Venerdì 7 marzo è stata presentata al Parlamento canadese una relazione parlamentare intitolata “Donne invisibili: un invito ad agire” dove sono elencate 16 raccomandazioni al governo.

Nella relazione persentata dalla Commissione Speciale sulla Violenza Contro le Donne Indigene risulta che i livelli di violenza vissute dalle donne e ragazze indigene stanno aumentando in tutto il Canada.
L’Associazione delle donne native del Canada ha raccolto dati che mostrano che a livello nazionale tra il 1960 e 2010, 582 donne e ragazze aborigene sono state segnalate come disperse o sono state assassinate in Canada. Il 39% di questi casi si sono verificati dopo il 2000.
Non è possibile reperire dati rilevanti sulle violenze in quanto il governo ha tagliato il finanziamento per il database dell’Associazione delle donne native del Canada e le forze di polizia canadesi non sempre raccolgono dati sulla razza e l’etnia.
La relazione ha suscitato sgomento tra le associazioni di difesa dei diritti per le donne indigene perché non raccomanda al governo federale di avviare un’inchiesta nazionale indipendente sulla violenza verso le donne indigene e perché non raccomanda di affrontare la responsabilità della polizia.
L’elevato numero di donne aborigene disperse o assassinate in Canada è preoccupante e l’impatto devastante che queste tragedie hanno sulle famiglie e le comunità canadesi è molto grande.
Il governo ha 120 giorni per rispondere alla relazione pubblicata Venerdì .
Fonti:

Flaviano Tarducci

Pubblicato su Segnali di fumo – il magazine sui Diritti Umani www.sdfamnesty.org

Blogger Truong Duy Nhat condannato a due anni

Truong Duy Nhat, blogger vietnamita residente nella città di Danang, detenuto dal maggio 2013, è stato condannato a due anni di carcere il 4 marzo con l’accusa di “aver abusato delle libertà democratiche violando gli interessi dello Stato…”.

La polizia ha arrestato Nhat a Danang il 26 maggio 2013 dopo aver perquisito la sua casa e sequestrato il suo computer, telefono cellulare, chiavette USB e schede SIM. Alla sua famiglia non è stata data una copia del suo atto d’accusa fino al 25 febbraio, anche se era datata 17 dicembre.

Blogger vietnamita Truong Duy Nhat condannato a due anni

Primo ministro vietnamita Nguyen Tan Dung ©Apple

Nhat ha 50 anni e lavorava per vari giornali controllati dallo Stato fino al 2011, quando si è dimesso per dedicarsi al suo blog che è stato chiuso al suo arresto. Nel suo blog, chiamato “Un altro punto di vista”, Nhat ha spesso criticato il governo e ha chiesto le dimissioni del primo ministro Nguyen Tan Dung e il segretario generale del Partito comunista Nguyen Phu Trong, accusandoli di essere responsabili di ciò che ha descritto come “il caos politico” del Vietnam e la “corruzione incontrollata”. L’accusa di Nhat afferma che le sue opinioni hanno causato nella gente la perdita di fiducia verso il governo e verso il partito comunista.

“Il processo a Truong Duy Nhat è parte dello sforzo futile del governo vietnamita di mettere a tacere la comunità sempre più effervescente di blogger vietnamiti”, ha detto Brad Adams, direttore per l’Asia di Human Rights Watch. “Invece di creare un altro prigioniero politico, il governo dovrebbe rilasciare Truong Duy Nhat e tutti gli altri che sono incarcerati solo per disaccordo con il governo e il partito.”

Le persecuzioni dei blogger in Vietnam non sono nuove, nel 2013 Le Quoc Quan, avvocato difensore dei diritti umani, attivista pro-democrazia e blogger cattolico, venne arrestato con l’accusa di evasione fiscale. Tale sentenza venne condannata da diverse organizzazioni per la difesa dei diritti umani.Secondo l’ultimo indice della libertà di stampa di Reporters Without Borders, il Vietnam è la seconda più grande prigione al mondo per blogger e cittadini della rete, dopo la Cina.

Fonti:
Reporters Without Borders
Human Rights Watch
Arstechnica.com

Flaviano Tarducci

Pubblicato su Segnali di fumo – il magazine sui Diritti Umani www.sdfamnesty.org